Interview with Carole André

Here’s an italian language piece on the actress Carole André that appeared in La Stampa on the 16th October, primarily about her role in Sergio Sollima’s Sandokan:

Era una fanciulla di 16 o 17 anni, dalla taglia piccola, ma snella ed elegante, dalle forme superbamente modellate, dalla cintura così stretta che una sola mano sarebbe bastata per circondarla, dalla pelle rosea e fresca come un fiore appena sbocciato. Aveva una testolina ammirabile con due occhi azzurri come l’acqua del mare, una fronte d’incomparabile precisione, sotto la quale spiccavano due sopracciglia leggiadramente arcuate e che quasi si toccavano. Una capigliatura bionda le scendeva in pittoresco disordine, come una pioggia d’oro, sul bianco busticino che le copriva il seno».

Così, negli Anni 80 dell’800, Emilio Salgari vide Marianna Guillonk, la perla più preziosa dell’isola di Labuan, ed esattamente così la vedemmo, quasi cent’anni dopo, tutti noi, la sera del 6 gennaio 1976, quando sul primo canale Rai andò in onda la prima puntata dello sceneggiato tv tratto dai racconti di Salgari. Carole André aveva poco più di vent’anni, ed era perfetta. Era la Perla di Labuan: «Sergio Sollima, il regista, aveva scritto la sceneggiatura con me in mente.

Ci conoscevamo bene, nel 1967 a 14 anni avevo girato il mio primo film con lui, Faccia a faccia, un western con Gian Maria Volonté e Tomas Milian, e per convincermi a fare Sandokan disse che senza di me avrebbe rinunciato a dirigerlo. Io non volevo farlo, avevo perso mia madre da poco, mio padre viveva negli Stati Uniti, non avevo alcuna intenzione di andare sei mesi in Asia a fare un film di sei ore. Ma Sollima insistette, e mi permise di tornare a casa quando la troupe si spostò dalla Malesia all’India. Lui diceva che io e Kabir Bedi, che si era pagato il biglietto aereo per venire a fare i provini a Roma, eravamo assolutamente necessari, insostituibili. E così accettai».

E fu subito successo. Un successo immediato e travolgente. «Avevo lavorato con Fellini, Visconti, Brusati, Risi, Ferreri, ero considerata un’attrice seria, drammatica, una ragazza promettente adatta a ruoli pesanti, difficili, intensi, facevo un cinema che non ti dava quel genere di popolarità. Invece, dalla sera in cui fu trasmessa la prima puntata di Sandokan non potevo più uscire di casa, i paparazzi mi seguivano ovunque, la gente impazziva. All’improvviso ero diventata come Madonna, come… Chi c’è di così famoso oggi? Ecco, la mia vita è cambiata da un giorno all’altro e in negativo. In fondo non avevo trovato la cura per il cancro, no? Avevo poco più di vent’anni, quel successo non era un riconoscimento per aver fatto qualcosa di grande. Era uscito in tv uno sceneggiato che avevo girato un anno e mezzo prima, tutto qui».

Delle ragioni di quel successo, oggi Carole André si è fatta un’idea: «Il regista è stato bravissimo a usare la tecnica del feuilleton, quella di Salgari stesso. Verso la fine di ciascuna puntata succedeva sempre qualcosa di drammatico che ti spingeva a vedere anche la puntata seguente. Poi è stato il primo Sandokan girato sui luoghi veri: ne avevano già fatti sei o sette, tutti a Cinecittà, con attori romanissimi pitturati di scuro, poco credibili. Nel nostro, c’erano gli elefanti, i leoni, le tigri, le scimmiette… E le facce delle persone. Tutte le comparse erano locali, le spiagge erano quelle. Si sentiva. E infatti per la prima e unica volta uno sceneggiato tv è stato rimontato in due film ed è uscito in sala dopo essere stato visto da milioni di persone, ottenendo successo. È incredibile, no?

Una volta Maurizio Costanzo mi disse che, calcolato con i criteri attuali, il pubblico sarebbe stato pari a quello di una finale dei mondiali di calcio. Ancora oggi non riesco a capire come nessuno, alla Rai, abbia avuto l’idea di dargli un seguito. Gli americani sarebbero andati avanti dieci anni, con Sandokan 1, 2, 3, 4, 5… E io li avrei fatti, perché ormai tutti mi vedevano come Marianna, la fidanzata di Sandokan e trovare altri ruoli, per me, era un problema. Un regista, una volta, me l’ha detto: “Carole, non ti posso prendere nel mio film. Se ti faccio un primo piano, la platea comincia a urlare: “Sandokan! Sandokan!”»”.

Storie di un’altra Italia, in cui tutti andavano regolarmente al cinema, i canali televisivi erano solo due, e la tv a colori era agli albori. Storie di un’Italia più ingenua, forse, in cui gli ammiratori scrivevano a Carole André per sapere se davvero si era innamorata di Sandokan, e se le sarebbe piaciuto vivere «nell’India misteriosa»: «Tenni una rubrica su Stampa Sera. La gente mi scriveva e io, che non parlavo ancora benissimo l’italiano, rispondevo con l’aiuto di una giornalista. Ricordo molte lettere di donne, la mia Marianna piaceva soprattutto a loro, così innamorata ma anche così desiderosa di libertà, indipendenza, così moderna».

Anticonformista, poco presenzialista, sinistrorsa (secondo i giornali di destra): anche così è stata descritta Carole André. Ma una ricerca sull’archivio di gossip più completo che c’è, quello di Internet, non dà risultati significativi: «E meno male – commenta lei -. Oggi faccio l’architetto, mi occupo di giardini, e lavoro un po’ anche a Cinecittà, nelle pubbliche relazioni, più che altro perché soffrirei molto se dovessi abbandonare il mondo del cinema. Ci sono dentro da sempre, mia madre era un’attrice, Gaby André, proprio a causa sua (io non volevo, ero molto timida) giro film da quando avevo 13 anni.

E sono un’attrice, anche se ruoli belli per donne grandi ce ne sono pochissimi e giustamente li danno a chi ha sempre lavorato, la bravissima Sandrelli, Margherita Buy, Catherine Spaak. Io ho sempre avuto paura di invecchiare male, aspettando un nuovo film, di sentirmi brutta, di dovermi rifare il viso per sembrare giovane. Ho sempre pensato che avrei dovuto avere qualcosa di creativo su cui ripiegare, e l’architettura è perfetta. Avrei tanto voluto passare dietro la macchina da presa, come regista o produttore. Ma quando lo dicevo, mi prendevano per matta: “No, no, tu sei un’attrice, lascia perdere”. A quei tempi, non era un lavoro per donne»

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